dimanche 9 août 2009
Tour au centre de l'Europe - Allemagne
Dopo aver mangiato tutto il mangiabile alla colazione dell'ostello più caro del mondo (30€ per una stanza da 20 letti!) mi sono avviato alla stazione tranquillo: andavo a Berlino.
Sui binari scalpitava un treno panna con una lunghissima striscia rossa sui fianchi, pulito, affascinante, moderno. Chiedo al capotreno se posso salire senza prenotazione, "Hello! I haven't booked! can I go with this train?" e mi risponde "here, at the four, you will find your sit...where the number is black: if it's white it's booked", "It's always...so...in...Deutschland?", "Black, yeah! black means free. Bye!". E salgo sulla carrozza panna con la lunga striscia rossa. Avevo imparato tre parole in tedesco e già mi confondevano l'inglese. Il capotreno mi aveva fatto un sorriso amichevole, non esagerato, ma strano sul viso tondo, il corpo piccolo, gli occhi da alcolizzato. Me l'ha rifatto quando ero seduto sul mio sedile, dal numero nero. "Black, yeah!". Mi ha pure strizzato un occhio. Ero pronto ad alzarmi perché mi stringesse la mano, ma ho preferito restare seduto e torturarmi con la sensazione di stupidità che provo quando non so cosa dire. Una sensazione che poi mi avrebbe accompagnato per tutto il viaggio, con il mio inglese zoppo e la la vana speranza che il francese, l'italiano, lo spagnolo siano lingue internazionali.
Con me sul treno c'erano una bella mamma e i suoi due gemelli turchi che non conoscevano nemmeno mezza parola di inglese "Du iu spic inglisc?" "Nein". Dopo aver letto e riposato, ho percepito il profumo della cucina di bordo, 8 vagoni più in là, e mi sono chiesto se sono buone le salsicce e la birra sui treni tedeschi. Vi consiglio altamente questa esperienza: zuppa gulasch con pane nero e birra spillata fresca su un mezzo che corre a circa 200 km nella campagna assoluta, tra i villaggi di poche case, tutti diversi nel carattere che per pochi secondi entrano nel paesaggio. Rette in salita verso la città, discesa, breve virata, lunghissima retta in discesa dove il treno prende di nuovo velocità.
Berlino si è rivelata improvvisamente sotto il cielo grigiastro. Già l'amavo.
Eppure, quando sono sceso ero scosso dalla delusione: la stazione dove ero sceso era proprio bruttina e vecchia. Ostbanhof: dopo qualche giorno ho capito che Est e Ovest non sono davvero uguali a Berlino, 20 anni dopo la caduta del muro e nonostante l'alacre vivacità urbana. Non c'era un cartello che indicasse la metro, eppure dovevo andare a 2 fermate, a Alexanderplatz: Alexanderplatz! e non c'era alcun cartello. Dopo aver girato un po' su me stesso ho preso una direzione e un ragazzotto - forse era il suo primo giorno di impiego come vigile per i branchi di turisti - è venuto da me gagliardo e sfoggiando un modico inglese mi ha fatto capire che per viaggiare anche sulla S-Bahn bisogna prendere un biglietto. Mentre mi chiedevo perché cavolo i tedeschi debbano sempre trovare l'essenza di qualcosa e dargli un nome a cui affibbiare una preposizione o altro per identificarne le variazioni,"Perché non "tram", "autostrada", "metropolitana"?", il ragazzotto mi ha chiarito che per andare a Alexanderplatz avrei potuto non prendere il biglietto, ma sincerandosi che poi l'avrei comprato alla U-Bahn per andare poi... Me l'ha detto con un sorriso, come per dirmi "Io non lo comprerei, comunque".
Una volta nella U-Bahn, ero già perso: pieno di giovani, tanti colori e visi diversi, tutti piacevoli, belli. E senza pormi troppe domande ho preso la metro in direzione opposta. Me ne sono accorto dopo 5 fermate, perché guardavo il gruppo di sordomuti che comunicavano in tedesco - e appunto, non ho capito molto. Cosa dire della metro berlinese? piccola, non come a Parigi, ma pienissima e viva di sguardi.
"Eccoli", mi son detto, quando alla fermata del metro ho sentito "Ahoooo! 'ndo 'nnate? mbeh, io vado qui!", e prima di entrare nell'ostello, quando un altro gruppo mostrava le mie stesse intenzioni ma dei modi più gagliardi, e la voce tonante, resa vibrante dalla cartina di Berlino aperta tra quelle 10 italiane che parlavano insieme. "Eccoli", quando sono entrato nell'ostello e alla reception c'era un quarantenne capelluto, con un sorriso da svitato, che agitava le braccia urlando a un ragazzotto "Iu ar ghei! eheh! niuziland!", una delle 3 o 4 espressioni a lui care. Un quarto d'ora ci ha messo per capire cosa fare di me, il primo arrivato di 17 italiani, e mi ha finalmente messo in una camera a caso, nel piano dove la porta d'ingresso era rotta da un mese "Eh non so chi lavora qui! nessuno fa niente!", un'altra espressione che amava. A 6€ a notte, credo che nessuno fosse pagato abbastanza per riparare anche le porte, nemmeno "Security", un congolese di quarant'anni che di notte dormiva sul divano, sicuro che noi ci facessimo la guardia (d'altronde, lui diceva "Le problème de l'Afrique c'est qu'il n'y a personne qui travaille! c'est la douleur de l'Afrique!").
Munitomi dello zainetto, ho iniziatomi a perdermi. Questo è un principio del turista: la città non scappa e non si perde, resta sempre lì, ma lo scopritore deve andare a caso e a naso, non può restare: perdere se stesso significa trovare l'altro.
A piedi fino ad Alexanderplatz, poi Unter den Linden, vedo un palazzo e mi reimmergo tra gli edifici, una fermata S-Bahn mi attira verso Potsdamer Platz. Che follia! che bellezza borghese e moderna, linda, dritta, colorata, sfavillante, altissima tecnologia e scienza dei materiali e degli equilibri. L'individuo è schiacciato dai palazzi di vetro e dalla vela pianiana, da quel sistema di spinte e controspinte che sospende nella piazza un giavellotto enorme sulla testa di qualsiasi passante - e lo solleva, gli solleva gli occhi e gli mostra cosa l'uomo è in grado di fare. Ecco: il luogo giusto per mangiare in una sorta di keller. Birra della casa, weisswurster e bretzel.
Mi aggiro nei dintorni - e per Berlino i "dintorni" son chilometri -, seguo una luce nel cielo notturno che mi fa dubitare dell'era e del luogo in cui sono. Quasi senza accorgermene mi trovo nell'Holocaust Mahnmal: esperienza dello smarrimento affatto spaziale e completamente cognitivo e spirituale: paura, stupidità di sé e del mondo, oppressione. Credo che fin'ora sia la sola istallazione nella quale io abbia trovato un senso definito, chiaro, percepibile.
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